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La sindrome della vittima, nel suo nucleo più profondo, non è semplicemente un lamentarsi o un sentirsi sfortunati, ma un complesso costrutto psicologico dove l'individuo si percepisce costantemente come oggetto di ingiustizia e sofferenza, spesso proiettando all'esterno la responsabilità del proprio malessere. Un aspetto peculiare di questa sindrome, come suggerito dalla tua richiesta, è la convinzione di "conoscere meglio di tutti la sofferenza altrui". Questa asserzione, apparentemente empatica, può celare un meccanismo difensivo che, paradossalmente, impedisce una vera connessione con l'altro, trasformando l'altrui dolore in uno specchio della propria, in un'affermazione della propria unicità sofferente.
Il caso di Gerri, protagonista della serie TV omonima, offre uno spunto prezioso per esplorare questa dinamica in chiave psicotraumatologia relazionale. L'abbandono originario della madre rappresenta un trauma precoce, una ferita fondamentale che ha plasmato la sua percezione di sé e del mondo. Questo trauma, lungi dall'essere un evento isolato, si inscrive nella memoria implicita e si manifesta attraverso flashback continui, soprattutto quando Gerri si trova ad affrontare temi legati ai minori e ai genitori nel suo lavoro. Questi flashback non sono semplici ricordi, ma vere e proprie rivisitazioni sensoriali ed emotive del trauma, che riattivano il dolore originario e la sensazione di impotenza e ingiustizia.
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Il Legame tra Trauma Relazionale e Sindrome della Vittima
La psicotraumatologia relazionale, come quella studiata e applicata dal Centro Italiano di Psicotraumatologia Relazionale, pone al centro dell'attenzione l'impatto dei traumi all'interno delle relazioni significative, specialmente quelle precoci. L'abbandono materno di Gerri rientra pienamente in questa categoria. Un'esperienza di così profonda deprivazione affettiva e relazionale in età evolutiva può minare lo sviluppo di un attaccamento sicuro, portando a una fragilità identitaria e a una costante ricerca di riconoscimento e validazione, spesso attraverso il ruolo della vittima.
Per Gerri, il lavorare con minori e genitori agisce da trigger traumatico. Ogni storia di abbandono, abuso o difficoltà genitoriale che incontra nel suo percorso professionale non fa che riattivare il proprio trauma irrisolto. La sua presunta capacità di "conoscere meglio di tutti la sofferenza altrui" potrebbe quindi non essere una genuina empatia, ma piuttosto una proiezione della propria sofferenza irrisolta. Attraverso il dolore degli altri, Gerri potrebbe cercare di dare un senso al proprio, di validare la propria esperienza di vittima, e in qualche modo, di rimanere ancorata a quell'identità che si è strutturata attorno al trauma dell'abbandono.
Questo meccanismo, se da un lato può generare una forte motivazione a voler aiutare gli altri – poiché si "comprende" il loro dolore – dall'altro può impedire una vera risoluzione del proprio trauma. La focalizzazione sul dolore altrui diventa una via per evitare di confrontarsi direttamente con la propria ferita, mantenendo attivo un circolo vizioso in cui la posizione di vittima è costantemente rinforzata. La difficoltà non risiede tanto nel "sentire" la sofferenza, quanto nel processarla e integrarla, uscendo dal ruolo passivo per assumere un ruolo attivo nella propria guarigione.
Il Centro Italiano di Psicotraumatologia Relazionale, in un caso come quello di Gerri, proporrebbe un percorso terapeutico focalizzato sulla riparazione del trauma relazionale. Ciò implicherebbe un'applicazione rigorosa del protocollo scientifico integrato ASVS, affiancato da un'accurata anamnesi specifica sul trauma relazionale di Gerri. Seguirebbe una valutazione psicodiagnostica e psicofisiologica con il biofeedback, per monitorare le risposte corporee e emotive al trauma. L'obiettivo ultimo sarebbe la ricostruzione di una narrazione di sé che vada oltre l'identità di vittima, aiutando Gerri a riconoscere e validare il proprio dolore, ma anche a sviluppare risorse interne e relazioni sicure che le permettano di uscire dalla coazione a ripetere e di trasformare la propria esperienza traumatica in una fonte di resilienza e crescita, anziché in una prigione emotiva.
Se anche tu riconosci in queste dinamiche, o in quelle di qualcuno che conosci, le tracce di un dolore profondo legato a esperienze traumatiche relazionali, non esitare a cercare aiuto. L'Associazione Italiana di Psicologia e Criminologia - Centro Italiano di Psicotraumatologia Relazionale è un punto di riferimento per chi desidera intraprendere un percorso di elaborazione e guarigione. Contattarli può essere il primo, fondamentale passo per trasformare la sofferenza in resilienza e riprendere in mano le redini della propria storia.
Per ricevere aiuto, puoi contattare l'AIPC e il CIPR nelle sedi di Pescara e Roma:
- Email: aipcitalia@gmail.com
- Telefono: 3924401930
- Sito Web: www.associazioneitalianadipsicologiaecriminologia.it
Se preferisci vedere ed ascoltare il reel parlato “La Sindrome della vittima e l'abbandono originario”, clicca sotto.