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Il passaggio dal mondo del lavoro al "fine vita lavorativo", spesso coincidente con il pensionamento, rappresenta una delle transizioni più significative nel ciclo di vita di un individuo. Lungi dall'essere un mero cambiamento di status economico o sociale, questo periodo può innescare profonde dinamiche psicologiche, toccando corde legate all'identità, al senso di scopo e, in maniera spesso sotterranea, alle matrici relazionali che hanno plasmato la nostra esistenza. La psicotraumatologia relazionale offre una lente preziosa per decifrare come esperienze interpersonali pregresse, anche quelle non eclatanti, possano riemergere e influenzare la capacità di navigare questa fase.
La Dimensione Relazionale del Fine Vita Lavorativo
Il lavoro, per molti, non è solo una fonte di reddito, ma un pilastro dell'identità, un contesto per la socializzazione, un campo per l'espressione di competenze e un veicolo per il riconoscimento sociale. La sua interruzione può dunque generare un vuoto, che non è solo funzionale ma esistenziale. Da una prospettiva di psicotraumatologia relazionale, si comprende come il modo in cui una persona affronta questa transizione sia profondamente influenzato dai suoi modelli operativi interni e dagli schemi di attaccamento sviluppati fin dall'infanzia. Le relazioni primarie ci insegnano come percepiamo il nostro valore, la nostra sicurezza nel distacco e la nostra capacità di costruire nuovi significati. Eventuali "micro-traumi" relazionali, come una costante svalutazione, l'iper-dipendenza dal riconoscimento esterno, l'assenza di un attaccamento sicuro o la difficoltà a sentirsi "visti" per ciò che si è al di là della propria performance, possono riattivarsi in questa fase di vulnerabilità.
Consideriamo due scenari emblematici per illustrare questa complessità.
I professionisti volontari dell'Associazione Italiana di Psicologia e Criminologia (AIPC) sono a tua disposizione per offrirti un ascolto attento e un supporto specializzato in questo difficile cammino. Siamo qui per accoglierti e fornirti il sostegno di cui hai bisogno.
Per informazioni e per fissare un primo colloquio, puoi contattarci:
Numero di telefono e WhatsApp: 3924401930 (dalle ore 12:00 alle ore 16:00, anche i festivi)
Email: aipcitalia@gmail.com
Storia di Anna: Il Crollo dell'Identità Legata alla Performance
Anna ha sessantacinque anni e ha trascorso la sua vita lavorativa come dirigente in una grande azienda, dove la sua dedizione e la sua efficienza erano leggendarie. La sua identità era intrinsecamente legata ai suoi successi professionali e al ruolo di "soluzione" che rivestiva per colleghi e superiori. I suoi genitori, seppur amorevoli, avevano inconsciamente veicolato il messaggio che il suo valore fosse legato alla sua "produttività" e al suo "essere all'altezza". Raramente era stata apprezzata per la sua semplice presenza o per le sue qualità intrinseche.
Quando è arrivato il momento di lasciare il lavoro, Anna si è sentita come se un pezzo fondamentale della sua anima le fosse stato strappato via. Inizialmente, ha provato un senso di liberazione, ma questo è stato presto sostituito da un'ansia pervasiva e un senso di vuoto. Non sapeva più "chi fosse" senza il suo badge, le sue riunioni, le sue scadenze. Ha iniziato a isolarsi, a sentirsi inutile, a sviluppare insonnia e stati depressivi. I suoi tentativi di trovare nuovi hobby o di passare più tempo con la famiglia le sembravano superficiali, privi della profondità e del significato che il lavoro le conferiva.
Dal punto di vista della psicotraumatologia relazionale, la crisi di Anna non era solo legata alla perdita del lavoro, ma alla riattivazione di un antico schema: la paura di non essere "abbastanza" se non era costantemente performante. Il ritiro dal lavoro ha rimosso la struttura esterna che le permetteva di sostenere questo schema, esponendo la ferita relazionale originaria: il suo valore intrinseco non era mai stato pienamente riconosciuto indipendentemente dalle sue realizzazioni. La sua ansia e depressione erano sintomi di un "sistema di allarme" interno che le segnalava la perdita di quel "ruolo di sicurezza" che, paradossalmente, la imprigionava.
Storia di Marco: La Dissociazione dal Sé Emotivo
Marco, di settant'anni, è sempre stato un uomo pragmatico e apparentemente inamovibile. Per quarant'anni ha gestito un'attività di famiglia, incarnando il ruolo del "pilastro" su cui tutti potevano contare. Nella sua famiglia d'origine, era stato il figlio maggiore, abituato a prendersi cura dei fratelli più piccoli e a sopprimere le proprie emozioni per mantenere la stabilità. Aveva imparato che la sua funzione era quella di "essere forte" e di "provvedere", e che mostrare vulnerabilità era un segno di debolezza.
Al momento del pensionamento, Marco ha dichiarato di non sentire alcun problema, anzi, di essere "finalmente libero". Ha continuato a mantenere una fitta rete di impegni sociali e familiari, ma i suoi figli hanno notato un cambiamento. Era diventato più irritabile, meno tollerante, e a volte sembrava "distaccato" anche quando fisicamente presente. Ha iniziato a lamentare dolori fisici inspiegabili, che i medici non riuscivano a diagnosticare.
La psicotraumatologia relazionale suggerisce che il ritiro di Marco dal lavoro ha rimosso la principale struttura che gli consentiva di mantenere la sua dissociazione affettiva. Il suo ruolo di "fornitore" e "risolutore" gli aveva permesso di evitare il contatto con le proprie esigenze emotive e vulnerabilità, sviluppando una forma di "attaccamento evitante" anche nelle relazioni più intime. La fine del lavoro ha creato uno spazio che ha permesso a emozioni a lungo represse di affiorare, manifestandosi come irritabilità e sintomi somatici. I dolori fisici potevano essere un modo per il suo corpo di esprimere un disagio emotivo che non aveva mai imparato a riconoscere o verbalizzare, una forma di "linguaggio" del trauma relazionale non elaborato.
L'Approccio del Centro Italiano di Psicotraumatologia Relazionale dell'AIPC
Queste storie, seppur fittizie, illustrano la complessità del "fine vita lavorativo" e la necessità di un approccio che vada oltre la semplice riorganizzazione del tempo libero. È qui che il Centro Italiano di Psicotraumatologia Relazionale dell'AIPC (Associazione Italiana di Psicologia e Criminologia) si inserisce con la sua expertise specifica. Questo centro, e approcci simili, offrono un quadro di riferimento e strumenti terapeutici per comprendere e trattare le profonde implicazioni relazionali che possono emergere durante tali transizioni.
Gli specialisti formati in psicotraumatologia relazionale riconoscono che il trauma non è solo l'esito di eventi singoli e catastrofici, ma anche di schemi relazionali cronici che minano il senso di sicurezza, valore e connessione dell'individuo. Essi lavorano con pazienti come Anna e Marco per:
- Riconnettere con il corpo e le emozioni: Aiutare a identificare e processare le sensazioni fisiche e gli stati emotivi che possono essere stati disconnessi o dissociati.
- Esplorare i modelli relazionali: Comprendere come le esperienze passate abbiano influenzato i modelli operativi interni e le strategie di coping, specialmente quelle che ora sono diventate disfunzionali.
- Rielaborare le "ferite" relazionali: Attraverso un rapporto terapeutico sicuro e riparatore, aiutare a integrare le esperienze traumatiche o le carenze relazionali, permettendo al paziente di costruire un senso di sé più solido e meno dipendente da fattori esterni.
- Costruire nuove risorse e narrazioni: Sviluppare strategie più adattive per affrontare il cambiamento, creare nuove connessioni significative e ridefinire il proprio scopo e la propria identità in questa nuova fase della vita.
In sintesi, il "fine vita lavorativo" è una soglia che può riattivare dinamiche psicologiche complesse, spesso radicate in esperienze relazionali precoci. Affrontare questa fase con consapevolezza e un adeguato supporto, come quello offerto da contesti specializzati in psicotraumatologia relazionale, è fondamentale per trasformarla da potenziale crisi in un'opportunità di crescita e di riscoperta di un senso di coerenza e benessere integrale.
I professionisti volontari dell'Associazione Italiana di Psicologia e Criminologia (AIPC) sono a tua disposizione per offrirti un ascolto attento e un supporto specializzato in questo difficile cammino. Siamo qui per accoglierti e fornirti il sostegno di cui hai bisogno.
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