Partnericidio negli omicidi familiari: Anatomia di un trauma relazionale. Report ONOF dal 25 settembre al 1° ottobre 2025
Abstract
Il presente articolo analizza i dati sui delitti familiari raccolti dall'Osservatorio Nazionale Omicidi Familiari (ONOF) di AIPC Editore nella settimana dal 25 settembre al 1° ottobre 2025, attraverso la lente esclusiva della psicotraumatologia relazionale. È importante premettere che, come specificato nella nota metodologica del documento di riferimento, i dati analizzati sono raccolti da articoli pubblicati su testate giornalistiche e non da fonti istituzionali. La rubrica settimanale dell'ONOF, curata da figure esperte come la Dott.ssa Tiziana Calzone, la Dott.ssa Caterina Ventura e il Dott. Massimo Lattanzi, scava in profondità. L'analisi dei profili di vittima e autore rivela pattern specifici che, interpretati in chiave psicotraumatologica, suggeriscono come l'atto omicidiario non sia un evento isolato, ma l'esito catastrofico di sistemi relazionali cronicamente disfunzionali e traumatici. Emerge con prepotenza la variabile della relazione di coppia (Partner) come epicentro del rischio, dove il legame di attaccamento si trasforma in un teatro di minaccia mortale. Il profilo dell'autore, un uomo al 100% dei casi, spesso in età matura (50% nella fascia 54-71 anni), suggerisce l'implosione di traumi relazionali non elaborati nel corso di una vita. L'analisi del caso specifico di un duplice omicidio familiare a Campobasso illustra la disintegrazione totale del sistema di cura, evidenziando la necessità di interventi precoci basati su protocolli scientifici come l'A.S.V.S. (AIPC Scientific Violence Screening) per prevenire l'escalation fatale.
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1. Introduzione: oltre la cronaca, dentro la relazione
L'analisi dei delitti familiari, così come definita dall'A.I.P.C., si spinge oltre la mera classificazione criminologica per indagare le dinamiche sottostanti che trasformano i legami di "familiarità" – da quelli di conoscenza a quelli di parentela e affettivi – in contesti di violenza letale. L'approccio del Centro Italiano di Psicotraumatologia Relazionale (CIPR) e dell'Associazione Italiana di Psicologia e Criminologia (AIPC), coordinati dai Dottori Massimo Lattanzi e Tiziana Calzone, postula che tali atti estremi siano il punto di arrivo di una storia traumatica relazionale.
Questo contributo si propone di interpretare i dati della settimana in esame non come fredde statistiche, ma come indicatori di processi traumatici. L'ipotesi di fondo, in linea con gli studi di Panksepp, è che all'interno di questi sistemi familiari si assista a una cronica iper-attivazione dei sistemi emotivi primari legati alla minaccia (PAURA, RABBIA) e una parallela ipo-attivazione dei sistemi prosociali (CURA, GIOCO), conducendo l'individuo a uno stato di disregolazione emotiva tale da rendere possibile l'atto omicida.
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2. Il Profilo della vittima: quando il legame di cura diventa minaccia
Dai dati emerge un profilo della vittima di omicidio con caratteristiche statisticamente elevate e allarmanti: è una donna (60%), uccisa dal proprio Partner (nel 67% dei casi in cui la vittima è donna e la relazione è con un partner/ex-partner), prevalentemente nel Centro Italia (67%).
Da una prospettiva psicotraumatologica, questi dati sono devastanti. La relazione di coppia, archetipo del sistema di attaccamento e della sicurezza in età adulta, si rivela essere il contesto di massimo pericolo. Questo capovolgimento trasforma la figura di attaccamento in una fonte di minaccia mortale, generando un trauma complesso e insanabile. La vittima, prima di essere tale, è stata probabilmente immersa in un ciclo di violenza relazionale (fisica, psicologica, emotiva) che ha progressivamente eroso le sue difese e la sua capacità di percepire il pericolo. Il sistema della CURA, che dovrebbe fornire conforto e sicurezza, è stato completamente sovvertito e sostituito da un'attivazione cronica del sistema della PAURA. L'omicidio diventa, in questa tragica ottica, l'atto finale che sancisce l'impossibilità di fuga da un legame traumatico.
L'arma utilizzata, classificata come "Altro" nel 100% dei casi contro vittime donne, che include l'essere investite o l'uso del fuoco e di pietre, rafforza l'idea di un agito impulsivo, dominato da una rabbia disregolata, dove l'intento non è solo uccidere, ma annientare l'oggetto del proprio dolore psichico insopportabile.
3. Il Profilo dell'autore: l'implosione del trauma non elaborato
Il profilo dell'autore di omicidio è ancora più netto: è un uomo nel 100% dei casi. L'età prevalente è 54-71 anni (50%) e la relazione con la vittima è equamente distribuita tra Partner e Parenti (entrambi al 40%).
Il dato del genere, assoluto in questa settimana, non può essere ignorato. In un'ottica psicotraumatologica, può essere letto come il risultato di modelli culturali che inibiscono l'accesso e l'elaborazione delle proprie vulnerabilità e dei propri traumi, specialmente negli uomini. L'incapacità di regolare emozioni soverchianti (come vergogna, impotenza, angoscia d'abbandono) porta a un'unica, catastrofica via di scarica: l'agito violento. Il sistema della RABBIA, non più modulato da processi riflessivi o dai sistemi prosociali, prende il sopravvento.
L'età matura (54-71 anni) suggerisce che l'atto omicida non è l'esito di un conflitto recente, ma la deflagrazione finale di decenni di traumi relazionali non processati, di dinamiche disfunzionali cronicizzate, di un dolore psichico che è andato accumulandosi fino a diventare intollerabile. L'omicidio di un partner o di un parente rappresenta il tentativo estremo e patologico di estirpare la fonte di questo dolore, distruggendo al contempo il proprio sistema di legami.
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4. Caso studio: la disgregazione del nucleo familiare a Campobasso
Il caso del padre che a Campobasso ha confessato di aver ucciso la moglie e il figlio, ferendo gravemente la figlia, rappresenta la quintessenza della catastrofe relazionale. In accordo con la visione dell'ONOF e del CIPR, questo evento non può essere liquidato come un "raptus di follia". È, al contrario, l'implosione di un intero sistema familiare, il punto di non ritorno di una spirale di trauma.
- Dal punto di vista dell'autore: L'atto di annientare il proprio nucleo familiare (partner e figli) rappresenta la distruzione fisica del proprio mondo interno e dei propri legami di attaccamento. È un atto che segnala il fallimento totale della capacità di mentalizzare e di regolare il proprio stato emotivo. L'uccisione dei figli, in particolare, è l'attacco definitivo al sistema della CURA, la negazione stessa del proprio ruolo genitoriale, trasformato da fonte di vita a fonte di morte.
- Dal punto di vista delle vittime: La moglie è vittima di un partnericidio. I figli sono vittime due volte: della violenza diretta e del tradimento ultimo da parte della figura che avrebbe dovuto proteggerli. La figlia superstite porterà con sé un trauma complesso di entità inimmaginabile, che richiederà un intervento psicotraumatologico altamente specialistico per poter essere anche solo parzialmente elaborato.
Questo caso incarna la trasmissione transgenerazionale del trauma, dove le dinamiche disfunzionali non risolte vengono agite in modo distruttivo, perpetuando il ciclo della violenza nella sua forma più estrema.
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5. Conclusioni: prevenire la catastrofe relazionale
L'analisi dei dati della settimana 25 settembre - 1° ottobre 2025, sebbene limitata a un breve lasso di tempo, offre una potente conferma del paradigma della psicotraumatologia relazionale. L'omicidio familiare emerge non come un fulmine a ciel sereno, ma come l'esito prevedibile di storie di attaccamenti traumatici, disregolazione emotiva e fallimento dei sistemi di cura. La schiacciante prevalenza di partnericidi commessi da uomini evidenzia un'area critica di intervento.
È imperativo spostare il focus dalla sola gestione dell'emergenza alla prevenzione strutturata. Protocolli come l'A.S.V.S. (AIPC Scientific Violence Screening), che integrano colloqui clinici, valutazioni psicofisiologiche e percorsi psicotraumatologici, rappresentano la via maestra. Intervenire sulle dinamiche relazionali disfunzionali prima che raggiungano il punto di rottura è l'unica strategia efficace per impedire che il legame che dovrebbe dare la vita diventi la causa della morte.
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